Pirani, affronteremo il “dopo” riprogettando l’Italia

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Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec, la federazione che raduna le principali categorie dell’industria della Uil: ci sa dire cosa non ha funzionato in questa storia? Come e’ possibile che il sindacato si sia trovato a minacciare di chiudere le fabbriche, quel sindacato che, normalmente, gli scioperi li ha fatti per tenerle aperte? Il mondo alla rovescia?

“Il problema e’ che da subito, in questa epidemia, si e’ disegnato un doppio regime, in base al quale sei ‘’cittadino’’ ma solo fino alla porta della fabbrica. Come cittadino devi restare a casa, come operaio devi lavorare, anche se fuori aumentano i morti e il contagio. Inoltre, negli stessi posti di lavoro, si e’ creata anche una ulteriore divisione: tra quelli che possono stare a casa a lavorare in smart working, come gli impiegati, e quelli che invece non possono. Ma questo dualismo che si e’ cercato di ignorarlo per settimane  – nella politica, nel dibattito pubblico, sui media – finché non e’ esploso, con la rabbia e la paura di chi si sentiva ogni giorno in pericolo.

In effetti, si e’ parlato ben più di chi pretendeva di andare a fare jogging, che non di quelli costretti ad andare a lavorare..

Si e’ cercato di creare l’untore, come al solito: prima il nemico era l’immigrato, poi il cinese, ora il runner… Tutto per rimuovere il problema vero: cioè quelli che ogni giorno vanno in fabbrica.

La minaccia di sciopero dei sindacati però non e’ stata accolta con favore. Conte, ieri, ha detto che il paese non può permetterselo. E tutto sommato, non ha torto.

Inutile colpevolizzare gli operai che scioperano. Sono tutti angosciati, hanno paura. A Bergamo non c’e una famiglia che non abbia perduto qualcuno a causa del virus. Come fai a dire ‘’andate a lavorare’’, quando agli altri dire ‘’restate a casa’’?

Ma non si può fermare tutto il paese.

Certo, ma infatti non deve essere cosi. Ma occorre tener conto dei vari casi. Non fare le distinzioni sulla base dei codici Ateco. Per esempio, la farmaceutica, in base al decreto, non può fermarsi. Bene, ma alla Pfizer di Catania ci sono stati i primi casi di contagio. Che fai, tieni aperto? Bisognava fare come con la legge sul diritto di sciopero: quando abbiamo deciso, settore per settore, cosa si poteva fare e cosa no. Qui serviva lo stesso procedimento. Come poi e’ avvenuto effettivamente. Ma dopo molti giorni persi.

Anche tra gli industriali si sono viste posizioni diverse. Tra chi voleva chiudere e chi no, tra chi ha subito chiuso, come Fca, e chi ha cercato di tenere aperto, allungando la lista. Questo ha pesato?

Certo che ha pesato. Esempio: il presidente di Assolombarda, Carlo Bonomi, rilascia una intervista dicendo che e’ bene chiudere il piu’ possibile;  poi, invece, esce la lettera dell’attuale presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che dice il contrario. E fa saltare l’accordo faticosamente raggiunto col governo.

E’ mancato  forse proprio un ruolo forte del governo?

Mah, il governo. Il Mef e’ un punto di riferimento, ma ha competenza relative su questa cosa. Il Mise e’ stato distrutto dalla gestione di Di Maio, praticamente non ha piu’ una struttura, il Lavoro pure. Conte, a sua volta, agisce un po’ come capita. E finisce che tutti guardano a Mattarella come riferimento. Ma in queste condizioni e’ difficile fare concertazione seriamente.

E i sindacati, da parte loro, cosa hanno fatto?

Noi abbiamo fatto molti protocolli, in tutti i nostri settori, chimica, ceramica, vetro, Eni, Enel, eccetera. Un lavoro di concertazione accurato, e infatti le cose, in questi settori, piu’ o meno sono sotto controllo. I meccanici  invece hanno sposato la linea dello sciopero generale, anche dietro spinta delle confederazioni della Lombardia. Una linea che si era riusciti a fermare, attraverso l’accordo col governo, Ma che poi il governo stesso ha fatto saltare, cambiando le carte in tavola sotto la pressione di Confindustria.

Resta che adesso la lista delle attività da fermare e’ stata rivista e ristretta, le confederazioni sono soddisfatte, gli scioperi, probabilmente, ormai scongiurati. Ma una volta salvata la salute, cosa salverà l’economia?

Gia’. Cosa, al momento, non si sa. Nel decreto di marzo non c’e’ niente di concreto. Anche lì, le cose sono state fatte in maniera alquanto surreale. Per esempio,  sulla cig in deroga, il governo pretendeva che funzionasse cosi’: l’azienda chiede alla banca di anticipare i fondi, poi da’ un voucher al lavoratore il quale si rivolge alla banca a ritirare l’indennità di disoccupazione.  Follia. Abbiamo dovuto spiegare che no, così non poteva proprio andare. Ora aspettiamo il decreto di aprile, che il ministro Gualtieri ha promesso più consistente. Speriamo bene.

Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico,  giorni fa, aveva avanzato l’ipotesi di una sorta di reddito di cittadinanza per tutti. Potrebbe funzionare?

Penso sia inevitabile qualcosa del genere. Alla fine di questa tragedia, l’Italia avrà perso un anno. Per recuperare, occorre innanzi tutto fare una operazione di ‘’pulizia’’ sui debiti, garantire i redditi delle persone, dare un assegno di sopravvivenza. Un insieme di misure, insomma, che garantiscano reddito e consumi, liberando nel contempo il più possibile il sistema dai pesi fiscali. E per un periodo piuttosto lungo. Solo così se ne esce.

Ma i costi saranno spaventosi. Le risorse necessarie, dove si prendono?

A debito, ovviamente.

L’Italia se lo può permettere? Dopo tutti i discorsi sul nostro debito pubblico troppo alto, insostenibile, eccetera?

Erano ragionamenti validi in un altro tempo, per un’altra economia. Oggi devi pensare come per l’economia del dopoguerra: un paese distrutto e tutto da rimettere in piedi, spendendoci molti soldi.

All’epoca c’erano gli americani e il piano Marshall, ma oggi?

Oggi c’e’ l’Europa, che deve accettare questa idea. Dovrà cambiare radicalmente il meccanismo alla base dei principi economici dell’Unione: prima era pensato in un ottica di sviluppo, oggi lo devi ripensare in un ottica di crisi. Ma ci sono anche altri ragionamenti, a favore di questa linea: l’Italia e’ inserita in un sistema geopolitico, se indeboliti rischiamo di essere una pedina di un gioco più ampio. E non credo che nessuno possa permettersi di avere un paese allo sbando nel centro del Mediterraneo. 

Salvare l’Italia, dunque, sarà soprattutto una ragione di geopolitica? Questo ci consente un certo ottimismo per il ‘dopo’?

E’ sicuramente un elemento di ottimismo. Ma non il solo. Io penso, per esempio, che questa vicenda ci consentirà un nuovo inizio. Ci consentirà di riprogettare il nostro paese, daccapo. E meglio. E’ questo lo spirito con cui dobbiamo affrontare il “dopo”.

Intervista a cura di Nunzia Penelope

Fonte ildiariodellavoro

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