Perchè l’8 marzo: la storia per meglio capire la festa delle donne. Continua la nostra iniziativa, nel ripercorrere le lotte e le vittorie delle donne. Oggi: 1970 il divorzio

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Era il 1970 quando in Italia fu varata la legge sul divorzio. Quattro anni dopo gli italiani andarono in massa a votare il referendum per dire se volevano la sua abrogazione: vinsero i “no” e il divorzio rimase legale.

Fu una rivoluzione soprattutto per le donne, che videro riconosciuto il diritto di scegliere come e con chi vivere.

Ma prima, come ci si separava? E la donna, dopo la separazione, come campava?

In passato a farla da padrone era la dote. Una donna passava dalle mani del padre a quelle del marito con parte dei suoi beni: terreni, case.

Divorziare, nei casi previsti, era possibile, ma per la donna la separazione si risolveva in un cambio di padrone: se l’unione veniva meno, lei tornava sotto la potestà paterna, con i suoi beni, unica fonte di sostentamento. E se era colta in flagrante adulterio era rispedita a casa senza la dote.

Anticamente solo gli Egizi, durante l’Antico regno (2700-2192 a.C.), riconoscevano alle donne una certa indipendenza: quando si sposavano continuavano a disporre dei loro beni e li mantenevano anche in caso di divorzio – perché davanti alla legge avevano stessi diritti e medesimi doveri degli uomini.

Per I Romani, invece, a disciplinare il divorzio (divortium, separazione) – frequentissimo durante la Repubblica – e l’adulterio, fu Augusto: la donna che tradiva durante il suo impero era punita con la confisca della metà della dote e l’esilio su un’isola. La stessa sorte toccava all’amante – ma l’esilio era su un’isola differente.

Le regole si inasprirono ancora di più in seguito, con il cristianesimo. Se abbandonata o ripudiata, la donna poteva scegliere se tornare a casa o chiudersi in convento. Se, invece, era stata lei a tradire, in quel caso veniva cacciata senza un soldo.

A far vacillare l’ortodossia cattolica fu la Rivoluzione Francese. Per un breve periodo, si poteva divorziare addirittura per semplice incompatibilità di carattere.

Poi tra il 1792 e il 1794, con una serie di leggi, si sancì il principio che nessuno può essere obbligato a rimanere legato a una persona quando non lo voglia. Si stabilì allora anche il criterio della comunione dei beni e dell’assegno di mantenimento.

I tempi però non erano maturi anche perché il matrimonio – a differenza di oggi – era ritenuto un’istituzione chiave della società, e il bene della società veniva prima delle libertà del singolo. Risultato? Ci fu un ritorno all’ordine e alla restaurazione, anche in tema di divorzio.

Oggi  non si sta insieme più per dovere, ma per amore. E quando questo finisce ci si lascia. A patto che un coniuge aiuti economicamente quello più debole.

Non bastano, però, le leggi per garantire le donne.

Certamente, le conquiste degli scorsi decenni sono servite per ottenere, almeno in Occidente, pari diritti e, nell’ultimo mezzo secolo sono stati fatti numerosi passi avanti in questa direzione. Ma, se consideriamo la sfera privata delle donne, quella più intima e quotidiana, vediamo che il dominio maschile persiste, che sessualità e famiglia restano terreni di conquista non ancora realizzati.

Se la prima grande tappa è stata l’emancipazione politica, suggellata dal suffragio universale in cui le donne hanno acquisito uguali diritti come cittadine. La tappa successiva, l’emancipazione sociale, è ancora incompiuta, e questo sarà il passo più difficile da compiere.

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