Buoni pasto: le novità in arrivo.
Le previsioni basate su un documento ancora in bozza e non sottoscritto.
A differenza di quanto si possa immaginare i buoni pasto non sono un diritto per legge, ma la loro gestione deriva dal Contratto collettivo nazionale di lavoro e il contratto di lavoro individuale. Da qui in ogni caso spetta ai lavoratori dipendenti ovvero ai lavoratori subordinati a tempo pieno o parziale (non si tratta di una esclusiva perché possono essere utilizzati anche da coloro che hanno un rapporto di collaborazione non subordinato secondo contratto), anche se l’orario di lavoro non prevede una pausa pranzo e se in azienda è previsto un servizio mensa.
Il datore di lavoro è tenuto distribuire un numero di tagliandi non superiore ai giorni realmente lavorati dal dipendente e tale buono altro non è che uno strumento di pagamento con un valore fisso e predeterminato, utilizzabile soltanto per l’acquisto di un pasto o di prodotti alimentari in modo alternativo alla mensa aziendale.
I buoni pasto sono considerati un esempio di fringe benefit, ovvero una particolare voce di retribuzione corrisposta ai lavoratori, ed indicata in busta paga assieme alla retribuzione monetaria.
Sono in arrivo modifiche alle regole fiscali per i buoni pasto con rimodulazione dei limiti di esenzione.
Dalle ultime bozze (non ancora sottoscritte, quindi non ancora operative) della legge di Bilancio 2020 (articolo 51, comma 2, lettera c), del Tuir – Testo Unico delle Imposte sui Redditi) emerge che, restando ferme le vecchie soglie di esenzione per i buoni assegnati fino al 31 dicembre di quest’anno, dal 1 gennaio dovrebbero essere modificate le soglie entro cui le prestazioni sostitutive dei servizi di mense aziendali, rese tramite i buoni pasto, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente.
In particolare i limiti quantitativi vengono ritoccati con l’intento di incentivare l’utilizzo dei buoni in formato elettronico che passerebbero dagli attuali 7 a 8 euro giornalieri, mentre per quelli cartacei è prevista una riduzione da 5,29 euro giornalieri a 4 euro.
Resta invariato il trattamento Irpef per le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro anche attraverso mense organizzate direttamente o da terzi. In tali ipotesi, resta sempre esclusa l’emersione di un reddito di lavoro dipendente a prescindere dal valore del servizio offerto al lavoratore.
L’esenzione fiscale, ovvero un’agevolazione data dal legislatore e che esonera determinati soggetti dal pagamento dell’imposta a cui si riferisce, vale anche per i buoni pasto. Secondo la disciplina attuale, i buoni in esame sono esclusi dalla retribuzione imponibile – e quindi non sono di fatto tassabili – fino a 5,29 euro per giorno lavorato se cartacei, fino a 7 euro se elettronici quindi, se tali soglie di esenzione subiranno modifiche, i buoni pasto cartacei dovrebbero essere esclusi dalla retribuzione imponibile fino a 4 euro per giorno lavorato, fino a 8 euro se elettronici, con una cumulabilità sino a 8 buoni spesi nello stesso momento (così garantendo il rispetto del decreto in materia di servizi sostitutivi di mensa n. 122 del 2017, che dispone regole circa il divieto di cumulabilità dei buoni pasto, di conversione in denaro e di cessione).
Per quanto attiene i buoni erogati fino al 31 dicembre di quest’anno, nella fase di transizione va considerato che i buoni pasto vengono emessi il mese successivo rispetto a quello in cui sono maturati e quindi quelli relativi al mese di dicembre verranno distribuiti a gennaio 2020. Su questo è stato stabilito che i buoni da 5,29 euro non saranno soggetti a tassazione maggiore se verranno distribuiti entro il 12 gennaio.
Per quanto riguarda invece la somministrazione diretta di cibo nelle mense per il personale, la disciplina resta immutata: il valore del servizio concesso al lavoratore non fa parte del reddito di lavoro dipendente, e pertanto si avvale della totale esenzione fiscale e contributiva.
Il dipendente, prevedibilmente subirà maggiori trattenute in busta paga per una perdita stimata di circa 100 euro annui, e potrebbe raggiungere i 300 euro annui e rappresenterà inevitabili aumenti nelle trattenute fiscali e previdenziali che cambieranno in base alla retribuzione del singolo lavoratore.